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PSICOTERAPIA Psicoterapia cognitivo-comportamentale

Le tre generazioni della psicoterapia cognitivo-comportamentale

Dalla ristrutturazione cognitiva all’accettazione:
Nuove frontiere della terapia cognitivo-comportamentale

Nel 1953 viene usato per la prima volta il termine “Behavoiur Therapy” (BT), in uno scambio epistolare tra psicologi americani (Skinner, Lindsley e Solomon) ma solo alla fine di quel decennio si comincia a delineare come scienza basata sui principi dell’apprendimento.

In aperta contrapposizione con l’imperante monopolio psicanalitico, così come le altre forme di psicoterapia emergenti in quel periodo (Gestalt, Palo Alto, sistemico-relazionale etc.), la BT cerca di affrontare i cambiamenti nel panorama clinico con un approccio sperimentale, misurabile e basato su una teoria dimostrabile

Si affronta quindi il comportamento misurabile, considerando i sintomi come risposte condizionate disadattive e prove di un apprendimento difettoso. 

Il condizionamento, inteso come processo di apprendimento di una data sequenza stimolo-risposta, diventa oggetto centrale di studio e di trattamento: si tratta il sintomo estinguendo le risposte condizionate disadattive e favorendo l’apprendimento di risposte condizionate desiderate. Ci si basa su fondamenti teorici dimostrabili e su risultati misurabili. 

Questa è la grande eredità della Behavior Therapy, la RICERCA, gli studi SPERIMENTALI, la MISURABILITÀ dei risultati e la RIPRODUCIBILITÀ dei protocolli di trattamento.

Le teorie del condizionamento classico (Pavlov, 1966) e del condizionamento operante (Thorndike, 1932 e Skinner, 1953) diventano la matrice sulla quale vengono costruite le tecniche di modificazione del comportamento. 

Dobbiamo a Mowrer (1960) lo sviluppo del modello eziologico delle fobie, che identifica il collegamento tra lo stimolo condizionato (l’oggetto della fobia) e la risposta condizionata di ansia, formatasi tramite condizionamento classico. Il sollievo dato dall’evitamento diventa il rinforzo negativo che mantiene operante l’apprendimento. 

Le tecniche sviluppate su queste basi teoriche mirano quindi ad indebolire il legame tra stimolo e risposta:

  • Le tecniche di rilassamento: riducono l’attivazione fisiologica, permettendo al soggetto di sperimentare nuovi comportamenti ed un maggior senso di autoefficacia nell’affrontare lo stimolo condizionato
  • La desensibilizzazione sistematica: affiancata alle tecniche di rilassamento di cui sopra, si basa sul principio di controcondizionamento.
  • Le tecniche di esposizione: esponendo il soggetto allo stimolo condizionato, gradualmente e con diverse modalità, estingue la reazione d’ansia tramite l’abituazione e interrompendo il rinforzo negativo dell’evitamento.
  • Le tecniche di modificazione del comportamento: riducono i comportamenti condizionati (disfunzionali) e aumentano, rinforzando, i comportamenti funzionali. 

A metà degli anni ‘60 si delinea un ulteriore cambiamento paradigmatico all’interno della psicologia sperimentale e con Albert Ellis e Aaron T. Beck si configura una concezione “mentalistica”, all’interno della quale i pensieri e le cognizioni non sono solo considerate oggetto di indagine psicologica ma diventano anche accessibili da un punto di vista empirico. Si abbandona il concetto di apprendimento rigidamente comportamentale per approdare ad un più flessibile inquadramento delle esperienze interne (pensieri ed emozioni) come parte integrante nel determinare il comportamento umano.

“La persona è prima di tutto un essere pensante, in grado di organizzare il comportamento e di modificarlo in base alle circostanze” (Bandura, 1969)

Ellis e Beck, parallelamente, si trovano a notare come nei loro pazienti certi pensieri che si trovavano ai margini della coscienza spesso precedessero intense reazioni emotive. Cercando un’alternativa alla spiegazione psicanalitica classica, si arriva a considerare le reazioni emotive come il risultato di specifiche cognizioni, chiamate PENSIERI AUTOMATICI. Questi pensieri non sono necessariamente consapevoli, cioè percepiti ad un livello di coscienza, ma possono essere identificati per mezzo di opportune domande da parte del terapeuta. Identificare questi pensieri, definiti “irrazionali” da Ellis, e riuscire a confutarli e prenderne le distanze diventa la chiave di volta della terapia cognitiva. Beck arriva ad illustrare come certi “errori cognitivi” siano specifici di certe tipologie di pazienti, e come per ognuno di questi esista una varietà di tecniche finalizzate a modificare i pensieri automatici negativi.

Le tecniche comportamentali si cominciano quindi ad arricchire con le tecniche cognitive, costruite attorno al principio cardine della teoria cognitiva secondo il quale il modo con cui le persone percepiscono la realtà influenza il loro modo di sentire e di comportarsi.

Le tecniche di desensibilizzazione, esposizione e modificazione del comportamento utilizzate nella terapia comportamentale vengono affiancate da nuove tecniche cognitive come l’identificazione dei pensieri automatici e le tecniche di ristrutturazione cognitiva dei pensieri e delle credenze.

I concetti di distorsione cognitiva e schema arricchiscono le basi teoriche del cognitivismo diventando target principali del trattamento.

Tecniche e protocolli si sono sviluppati e strutturati per essere efficaci con la maggior parte dei disturbi di Asse I, perdendo, tuttavia, un po’ di vista le problematiche legate ai tratti di personalità e ad altri aspetti dell’esistenza umana.

Per questo dagli anni ‘90 in poi si assiste ad un cambiamento di interesse, con l’avvento delle prime pubblicazioni sui disturbi di personalità e sulla relazione terapeutica in ambito cognitivo-comportamentale (Beck, Freeman, & Associates, 1990; Safran & Segal, 1990)

I terapeuti cognitivi sono abituati a mettere in discussione, a cercare “falle” nel sistema delle credenze e a sperimentarsi sulla ricerca di integrazione di nuove metodologie e modelli teorici.

Si delinea quindi un cambiamento paradigmatico, chiamato “terza ondata” o “terza generazione”.

L’attenzione si sposta dal contenuto al processo cognitivo, non arrivando a discutere la veridicità dei propri pensieri, incoraggiando un processo di accettazione e apertura nei confronti degli eventi psicologici, anche se dal contenuto “doloroso”.

La disponibilità verso le proprie esperienze interne rappresenta l’elemento di novità della terza generazione.

La realizzazione degli scopi vitali ed il perseguimento dei “valori personali” fanno da ulteriore cornice al processo di cambiamento.

Tre elementi caratterizzano la concettualizzazione dei problemi secondo gli approcci di terza generazione:

  • La relazione con le proprie esperienze interne: la fusione (Hayes et al., 1999) viene identificata come il processo mediante il quale le persone diventano indistinguibili dalle proprie transitorie esperienze interne (emozioni, pensieri, sensazioni fisiche) identificandosi con esse ed inevitabilmente desiderando che esse si trasformino in qualcosa di diverso da quello che effettivamente sono
  • L’evitamento esperienziale: è l’insieme delle strategie cognitive e comportamentali mirate a cambiare la forma o la frequenza delle esperienze interne negative ed è una delle principali cause della formazione e del mantenimento di molte forme psicopatologiche.                                                   La società occidentale supporta l’idea che la felicità sia più facilmente raggiungibile attraverso l’evitamento della sofferenza e che il controllo delle proprie esperienze interne sia altamente desiderabile. Il tentativo costante di controllare i pensieri negativi, le emozioni, le sensazioni e le immagini spiacevoli spesso, però, si accompagna ad un aumento paradossale della sofferenza psicologica.
  • Il restringimento del repertorio comportamentale: si verifica quando gli individui nel tentativo di non entrare in contatto con le esperienze interne negative rinunciano ad impegnarsi in azioni finalizzate a perseguire i valori e gli obiettivi personali.

Ci si propone quindi di cambiare la relazione che le persone hanno con le proprie esperienze interne, coltivando una relazione accettante e non giudicante nei confronti delle proprie emozioni, pensieri e sensazioni. Si impara a considerarli come qualcosa di transitorio, che non corrisponde necessariamente alla realtà, né tantomeno definisce chi siamo

L’accettazione diventa un concetto cardine all’interno degli approcci di terza generazione, definito come processo attivo di consapevolezza rispetto alle proprie esperienze interne, così come vengono sperimentate nel qui e ora.

L’elemento caratterizzante quindi non è tanto la modifica dei pensieri ed emozioni attraverso la disputa logica e razionale, quanto piuttosto la creazione di contesti che possano cambiare la relazione della persona con le proprie esperienze interne , indebolendo le catene causali che portano all’evitamento esperienziale e permettendole di agire in linea con i propri valori.

Gli obiettivi della Psicoterapia cognitivo-comportamentale vengono quindi ampliati nell’ottica di sviluppare nuove capacità che mirano a migliorare significativamente la qualità e la quantità di attività a cui il paziente attribuisce valore.

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